Melancholia nella musica di Angelo Gilardino

La celeberrima incisione di Dürer qui sopra riprodotta è una straordinaria allegoria della necessità di cercare lontano dal tangibile, dell’uomo che non di accontenta di sondare la realtà circostante esclusivamente attraverso i suoi cinque sensi. La figura alata raffigurata nell’opera, circondata dagli oggetti per costruire, calcolare e verificare il tangibile mostra rassegnazione, un tetro stato di impotenza e di incapacità di azione che si riscontra anche nel disordine e nei gelidi oggetti che lo circondano.

Ne “La vita e le opere di Albrecht Dürer“, Erwin Panofsky (a proposito, ve lo straconsiglio!) spiega che con il titolo l’autore fa riferimento alla teoria dei quattro umori  secondo la quale il corpo dell’essere umano è sottomesso e condizionato da quattro fluidi che corrispondono ai quattro elementi, alle quattro stagioni, ai quattro venti, alla scansione del giorno e alle fasi dell’esistenza. Tra questi, quello che corrisponde alla terra, al’autunno, alla sera e all’età matura è quello melancolico (dal greco “bile nera”). Ecco perché nell’antichità è considerato lo stato d’animo peggiore.

Quando nel 1991 Gilardino scrive “Musica per l’angelo della melancholia” (suite in cinque movimenti) si rifà a questo stato d’animo, esplora le possibilità idiomatiche ed espressive dello strumento come aveva già fatto nei suoi celebri 60 Studi di Virtuosità e di Trascendenza prendendo a piene mani da ciò che aveva lui stesso forgiato.

Il risultato è una composizione viva e pulsante dove la chitarra raggiunge vertici inauditi. Il compositore si autocita (sono accennati costrutti musicali che hanno dato forma ad interi Studi) e da forma ad articolati edifici musicali interamente costruiti su cellule tematiche e armonie basati su intervalli di quarta (in un celato e molto probabile riferimento alla teoria di cui sopra) fino a raggiungere una scrittura scevra da ogni diktat, caratteristica che prevale in tutti e cinque i movimenti della suite.

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