Concerto di Oliena di Angelo Gilardino

 “Il villaggio bianco sotto i monti azzurri e chiari come fatti di marmo e d’aria, ardeva come una cava di calce: ma ogni tanto una marea di vento lo rinfrescava e i noci e i peschi negli orti mormoravano tra il fruscìo dell’acqua e degli uccelli”

Così Grazia Deledda descrive il paese di Oliena, una macchia di case che sembra rispecchiare, dentro un letto verdeggiante di lecci, querce, corbezzoli e ginepri, i chiarori secchi della roccia calcarea posata, più in alto, sul monte Corrasi, la cima più alta del Supramonte. Un presidio antico alle porte della Barbagia, terra di misteri, cruda e protettiva insieme, dove la solitudine obbliga da secoli ogni singolo abitante a maturare un suo stile, un’arte di manipolare la natura per abbellirla, possederla, mangiarla.

Lo sguardo di Gilardino, nella primavera del 2007, si sofferma dalla distanza su questo paesaggio come per una montaliana “occasione”: una condizione in cui il pensiero poetico non descrive né rappresenta, ma semplicemente “compare”, liberandosi dagli impedimenti che stringono ogni artista nella morsa corrosiva della quotidianità e da lì si manifesta. L’opera è composta, dunque, secondo logiche squisitamente musicali, senza appelli a dissertazioni filosofiche o logico-matematiche, ancor meno pittoriche.

Il Concerto di Oliena, il terzo per chitarra e orchestra scritto dal compositore vercellese e dedicato a Cristiano Porqueddu, è in tre movimenti: Andante lento, Adagio e Allegro Scherzoso.

L’orchestra include i legni (compresi piccolo e corno inglese) con un solo leggio per strumento, una caldaia di timpani e gli archi senza divisi, in modo da permettere un’esecuzione cameristica con un solo arco per sezione. A ciò si aggiunge la celesta, già impiegata dall’autore nel “Liederkonzert” per due chitarre e orchestra. La composizione  dell’organico è premessa e parte integrante di un’estetica della scrittura orchestrale che predilige il dipanarsi di compresente reticolari in luogo di una compattezza o di fasce dense di suoni.

Il primo tempo inizia su un tenebroso rintocco di timpani e ostinato di quattro semiminime spezzate su cui si innesta un gioco contrappuntistico dapprima rarefatto poi sempre più intenso fino a precipitare nel vuoto teso prodotto dall’ingresso nudo della chitarra. Qui si scopre che il tema – già enunciato dall’orchestra e rappresentato da una quartina rapida che prima riposa su una nota lunga, poi chiosa con tre impulsi asseverativi e insieme torniti – non è altro che il trasferimento di un gesto squisitamente chitarristico come un arpeggio ascendente della mano destra seguito da un’enunciazione monodica più appesantita. Il secondo tema, lirico e dal profilo severo, è apparentato con l’inciso germinale del movimento, solo drammatizzato da un tempo più dilatato e un incipit acefalo. La metamorfosi che la materia fondante subisce conduce l’ascoltatore verso un trasparente intreccio di moti energizzanti, improvvisi squarci di gravi introspezioni, percussive invocazioni agli déi e apotropaici tintinnii incantatori. Gli esiti della cerimonia sono la sparizione, il dileguarsi furtivo del fenomeno appena edificato.

Il secondo tempo medita per registri estremi e una formula tematica affaticata. Una scrittura preziosamente policroma introduce la voce della chitarra che, dapprima si adatta al tema poi, irrequieta, prende a brulicare per arpeggi che toccano tutta la tastiera, ma indugiano sui sovracuti: si lascia accompagnare per un po’ da due ali d’archi gravi e di celesta infiorettando con loro un instabile contrappunto polimetrico, in seguito si svincola e procede da sola. Nella seconda parte il dialogo a distanza tra orchestra e chitarra si inasprisce in un alternarsi di slanci invocativi e di contrasti timbrici per poi, alla fine, cristallizzarsi in una compresenza reiterata di voci solitarie.

Nel terzo tempo il tema di danza, sviluppato in un’originale rivisitazione della forma rondò, segue un ritmo trocaico fortemente arcaizzante. La chitarra è costretta a un muoversi vorticoso e serrato ora per arpeggi rapidi, ora per sequenze di accordi ribattuti, o ancora per rari – quanto insidiosi – passaggi contrappuntistici. L’orchestra, in particolare i legni, esalta con i suoi specifici timbrici i caratteri di visionarietà peraltro già insiti nel materiale tematico ponendo accenti burleschi, luci accecanti, costumi caricaturali su una scena antica come il mondo, umana come sempre.

La prima esecuzione mondiale del Concerto di Oliena ha avuto luogo a Canelli, in provincia di Asti, nella splendida cornice del Teatro Balbo e con l’Orchestra Sinfonica di Asti diretta dal Maestro Silvani Pasini.

Qui la registrazione inclusa nel progetto discografico Gilardino Concertos for Guitar and Orchestra realizzato con i colleghi Angelo Marchese e Alberto Mesirca e tre diverse orchestre italiane.

 

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